Ecco qui l’intervista che mi ha fatto Sandra Conte che mi ha ospitato su 🛑 RADIO COSMO🛑. Confesso: ero molto, molto, molto felice di parlare del mio libro! E ringrazio infinitamente Sandra per avermi dato questa felicità/possibilità ma anche per aver fatto emergere altri aspetti del mio libro e soprattutto per avermi dato l’onore di aver scelto la sinestesia come primo argomento per dare il là alla sua nuova avventura con Radio Cosmo

E p.s. Sì! sì! sì! lo ammetto: questo libro mi ha reso e mi rende felice #Ilcantodell’arcobaleno #lasinestesia! E secondo me… è una felicità contagiosa 🙂 #sinestesia #felicità

Con il mio saggio “Il Canto dell’arcobaleno” ho partecipato al festival letterario BuKitaly che durava dal 20 al 29 giugno 2020 . Ebbene 🙂 finito il festival ho ricevuto questa mail : “BUONGIORNO, VI INFORMIAMO CHE IN BASE ALLA CLASSIFICA SOCIAL DELL’EVENTO LETTERARIO BUKITALY 2020, AVETE OTTENUTO IL PASS PER LA FINALE DELL’EVENTO LETTERARIO PREVISTO ALLA FIERA DELL’ORTO BOTANICO DI ROMA ” . 🙂 Felice!

Qui sotto uno dei video che avevo preparato per il festival, che si è tenuto ovviamente (uff) in versione online! Nel video parlo della prefazione, sapete già chi l’ha scritta?

Gli altri video li trovate nella mia pagina you tube!!

Zitto io, mi sto zitto, non sono affari miei, pensa Tilio mentre conta le candele, le poggia una vicina all’altra, finisce la prima riga, tra sé ripete non sono affari miei”. Inizia così “L’apprendista”, ultimo romanzo, edito da Sem, di Gian Mario Villalta, poeta, scrittore, insegnante e direttore artistico di pordenonelegge.it, che con questo romanzo è tra i 12 finalisti al Premio Strega 2020.

Marianna e l'apprendista

I personaggi Fredi e Tilio

Tilio è un uomo di 72 anni ed è lui l’apprendista. Apprendista sacrestano. Siamo in una città del nord est non meglio identificata, sappiamo solo che è vicina a Pordenone. La storia abbraccia tutta l’estate da maggio a settembre e si sviluppa dentro una chiesa tra la sacrestia e l’altare dove due uomini, Fredi e Tilio, giorno dopo giorno si raccontano la loro vita, si conoscono e iniziano a volersi bene. Fredi, il sacrestano, ha 85 anni è silenzioso e chiuso, con le sue regole di vita, dentro e fuori la chiesa. Tilio invece è chiacchierone, curioso e vuole imparare il mestiere del sacrestano; come gli sia venuta questa voglia non si sa forse un giorno si trovava a passare di lì e poi ha cominciato a ritornarci tutti giorni per occupare il tempo o forse proprio per aiutare Fredi, questo l’autore lo lascia nell’ombra, preoccupandosi solo di portare il lettore in chiesa davanti alle candele e presentargli il personaggio Tilio, e da questo momento tenerlo al suo fianco riga dopo riga dentro una storia che racconta di uomini e mondi, compreso quello cattolico, che stanno scomparendo o semplicemente cambiando. Ed è uno stare dentro la storia, quello del lettore, che già dalle prime righe è un po’ come stare su un palco in un teatro insieme agli attori, i due personaggi, e seguirli, osservarli, scoprirli, come una presenza invisibile per tutto il romanzo.

Relax con L’apprendista

I due uomini, anziani, su questo “palco” narrativo in cui la scena si muove dall’altare della chiesa alla sacrestia, al ritmo cadenzato dal sacro susseguirsi dei gesti rituali, si raccontano brandelli di vita e il lettore è lì presente capace di ascoltare, sia le parole dette che quelle solo pensate perché ci sono limiti che è bene non oltrepassare. E il lettore in questo luogo sacro che è chiesa ma anche romanzo è sempre presente, in ascolto.

Il racconto, grazie alla delicatezza e alla precisione poetica della scrittura di Villalta, porta il lettore nella profondità dell’animo dei personaggi, là dove ognuno dalla propria prospettiva che sia quella di figlio/a padre/madre o amico/a, può rivedere e rivivere una parte della propria storia fosse solo per quello stare in chiesa durante una messa e pensare ad altro.

“Quando era bambino, forse un ragazzino, che già si immaginava le parole come erano scritte, ripeteva a mente: Ah peste fame belo! Così diceva il prete, per come aveva capito lui. Peste Fammi bello. Un bel rebus […] Poi più tardi l’aveva inteso, che non era così…” da L’Apprendista di Gian Mario Villalta

finito 🙂

Lettura sinestesica: Tra le pagine l’odore di incenso c’è se non altro per il luogo in cui è ambientato il romanzo, ma poi in realtà prevalgono il profumo del pane con l’uvetta e quello di caffè appena fatto corretto vodka che, pagina dopo pagina, assumono il colore dell’amicizia che si mischia a quello della vita.

Per me è stato un esempio.
Lo guardavo e ascoltavo ammirata. Era passione pura. Amore per la musica aldilà di ogni limite o ostacolo. Lui suonava nonostante tutto, finché ha potuto suonare magistralmente, ha suonato.

Qui il mio ricordo

Quanti fuochi accesi ieri sera! Ogni quartiere ha richiamato giovani, adulti e piccini intorno al proprio falò. Quante fiamme che danzavano e ondeggiavano sui cieli tersi e stellati di Pordenone e provincia. Eh? (bene, adesso il tono svenevole è finito).

Dicevo: quante befane bruciate, ovviamente solo dopo che hanno consegnato tutti i doni (ben 2 miliardi di euro spesi in Italia in calzette, dolcetti, regalini e minchiatine che dobbiamo far girare l’economia alla faccia dell’epifania. Aperta parentesi (dicasi epifania “La manifestazione della divinità in forma visibile” nello specifico la divinità è il Cristo, Gesù. Qualcuno se lo ricorda? Era quello che parlava di vivere in povertà, di amare il prossimo (tutto il prossimo eh anche quello che ti sta.. mmmmh.. che ti sta proprio lì!). Gesù dai, quello che chiedeva di lasciare tutto e seguirlo, già, ma non aveva considerato che camminando sulle acque lui non ha lasciato mica molte impronte.

Ma torniamo ai falò. Ieri, quanti falò, casere, foghere, pire, montagne di legna, bancali, gomme, oli (forse ma speriamo di no),  e cose varie ed eventuali avranno bruciato, che “si profita” o “se profita” “ghe sè la foghera”? Del resto, non è l’antico rito della purificazione e della consacrazione?

Ma cosa avremmo mai consacrato ieri sera oltre a bronchi e polmoni?

Ora, non voglio mettermi a fare il censimento esatto di falò o casere dir si voglia e tanto meno delle povere befane, ma così, a naso posso dire con certezza che sì erano troppi! Decisamente troppi!

Faccio una brevissima cronaca. Tornando a casa ieri sera, 5 gennaio del 2020, alle ore 23 circa, nel tragitto San Quirino, Cordenons, Pordenone Azzano Decimo, Gruaro, tutto era avvolto da una nebbiolina biancastra che odorava di bruciato e garantisco: non era sinestesia, no! No! Non era una questione neurologica, non era un colore che oltre alla vista attiva anche l’udito. No! Era semplicemente fumo, effetto diretto della combustione che sprigiona oltre al fumo anche un odore acre, pungente e contemporaneamente migliaia di famigerate polveri sottili, quelle per le quali ci rompono i coglioni ogni inverno “targhe pari sì, targhe dispari no, e abbassa il riscaldamento e non accendete il camino a legna”; ecco proprio quelle, che ieri tra l’altro hanno fatto registrare un valore di 74 µm/Nm3 mentre il 21 dicembre era di appena 14 µm/Nm3 .  E come mai? Perché il 5 gennaio ogni cazzo di quartiere (ma anche ogni condominio, via e giardino privato e pollaio) deve fare il suo falò. E liberare nell’aria in nome della tradizione, milioni di particelle dannose, cancerogene. Ecco ieri sera era tutta una polvere sottile credetemi.

Belle le tradizioni. Non si tocchino le tradizioni.

E no, per carità e chi le vuole toccare. Viva le tradizioni!

Ma tipo, pensare a un falò 4.0?

Un falò olografico. Provate a immaginare: schermi olografici pieni di pixel in ogni quartiere, effetti speciali, fiamme pazzesche come nei film “Hellboy” o “Spawn – Hell, Malebolgia”.

E sì, lo so come si fa poi per i pronostici legati alla direzione che prende il fumo? come si fa? Beh, Vuoi che non ci sia un cazzo di algoritmo che spara il fumo grazie a una lettura simultanea dei venti reali? C’è un algoritmo per ogni minchiata vuoi che proprio per il fumo della casera non ci sia? E se proprio non c’è l’algoritmo, si fa andare il fumo come dicevano  i latini a cazzum, che non è poi tanto diverso da quanto già accade, no?

E poi volete mettere: befane per tutti i gusti! Magari con versioni vietate ai minori con vecchiette che … no, no, non mi riferivo a quelle vecchiette lì, no le milf, le gilf o cougar no! (anche se perché no poi) comunque, io mi riferivo a befane vere che urlano nelle fiamme come tante Giovanna d’Arco o come accadeva alle presunte streghe medioevali. Un po’ macabro lo so, terribile anzi. Ma oggi non è forse macabro lo stesso? Mettere in scena il rogo di una donna, finta per carità, ma non è pur sempre una donna la befana? Avete mai visto un befano maschio bruciare al rogo? No! Non l’avete mai visto! E perché non bruciamo anche Babbo Natale? Lui no, non si brucia,  anzi lo si aspetta e gli si offre il panettone e la play station o quella roba con le serie tv, no?! Si bruciano solo le donne. Fino a prova contraria la befana è una donna, lo si fa tutti gli anni, davanti agli sguardi dei bambini, gli stessi bambini che prima incassano il regalo poi mangiano e bevono guardando il rogo della povera vecchia befana. Ma non è assurdo?

Sì, lo è. Anche perché nessuno più si ricorda che l’epifania il cd dodicesimo giorno dopo il natale, prima di Cristo e anche un po’ dopo Cristo, era il giorno dedicato alla dea dell’abbondanza, Diana per i romani, legata ai riti agrari, ma poi un bel po’ dopo Cristo, la chiesa, ha voluto eliminare, bruciare appunto, il culto pagano legato alla dea dell’abbondanza e così la bellissima dea Diana è stata trasformata in una vecchia orribile e cattiva ma, che stranezza, che porta i doni…

Il futuro secondo me è per quel che vale la mia opinione, dei falò olografici, miliardi di versioni di falò da far sbizzarrire tutti i grafici del mondo e dare lavoro a tanta gente piena di creatività. Questo è il futuro della foghera, casera, falò e quel che volete. Per consacrare con i santi bit o pixel o come cavolo funzionano le immagini olografiche, la salute e l’ambiente e avviare un processo di sana purificazione dell’aria grazie al famoso progresso tecnologico!

Ecco questo è quanto ho pensato ieri sera quando sulla mia scopa ho attraversato il cielo per rientrare a casa e ho dovuto indossare la maschera anti gas tanto non si poteva respirare!!

Ricordo che questa è una campagna di sensibilizzazione privata sull’abuso indiscriminato di casere, sul risparmio della vita delle befane e sull’uso sano e consapevole della tecnologia.

di Alberto Garlini

dalla mia libreria 😉

E’ l’ultimo libro che ho letto e ho realizzato un servizio video per Il13 che trovate qui .

Il testo del servizio lo riporto di seguito, ma con il video è più carino 😉

La foto del libro è estratta dalla mia libreria, accanto al fico ci sono alcuni degli altri romanzi dell’autore.. Ecco ora vi lascio leggere 🙂

“Il fico lo avevo trovato lì. Nessuna fatica per guadagnarlo. Lo vidi di notte, avvolto nel misterioso fenomeno della bruma, così raro nelle terre di Palestina”.

Questo l’incipit dell’ultimo romanzo di Alberto Garlini, “Il Fico di Betania”, che va ad arricchire il bosco degli scrittori, progetto editoriale di Aboca in cui gli alberi sono l’espediente per raccontare l’uomo e il mondo con la sensibilità di alcuni tra gli scrittori italiani più talentuosi.

Garlini con questo romanzo trasporta il lettore in Palestina ai tempi di Gesù Cristo. Il personaggio è però Simone figlio di Taddeo un uomo con un passato violento, nato a Gerusalemme “sotto l’ombra del tempio” un’ombra che come la notte e la misteriosa bruma dell’incipit, sono simboli che Garlini usa per creare più livelli di lettura e una profondità assoluta che conduce chi legge oltre il giudizio. E anche oltre il tempo perché la Palestina di allora può essere in realtà qualsiasi luogo del presente in cui ci sia un uomo che fa i conti con se stesso e i dubbi della propria esistenza.

La storia trae spunto dall’episodio narrato nei vangeli di Marco e Matteo in cui Gesù di Nazareth una notte, maledì un fico perché non aveva frutti da offrigli. Un gesto inspiegabile che stride violentemente con la natura divina del Cristo ma che Garlini invece rilegge, con il suo stile inconfondibile in cui sacro e profano sono incarnati uno nell’altro mostrando a chi legge un dio che non solo si è fatto uomo, ma in un attimo di fragilità, è diventato anche umano.

Le pagine del romanzo scorrono seguendo il racconto in prima persona di Simone che da affiliato alla setta degli zeloti confessa che uccideva solo per sfidare dio, poi la svolta: cambia vita, paese, nome sino a che una notte trova davanti a sé il fico e ricomincia una nuova vita.

Garlini parola dopo parola frantuma le strutture mentali umane e gli schieramenti creati dai giudizi, per illuminare ciò che resta: la sacralità dell’uomo e ne “Il fico di Betania” anche la fragilità di un dio.

Ps. Dello stesso autore in questo sito c’è anche la recensione SINESTESICA di un altro suo romanzo, un giallo, Il fratello unico, la trovate qui!!

Marianna Maior (omaggio a Chaplin)

Non ero preparata lo ammetto, non ero preparata a incontrare un’arte così potente e il genio che le ha dato vita. E sapete cosa vi dico che ormai questa parola “genio” è talmente abusata che poi quando incontri un vero genio come Charlie Chaplin, la parola si riempie di tutto il suo senso e ti stordisce e, forse offesa, ti schiaffeggia dimostrandoti chi è davvero un genio.

Cosa mi è successo? Ho visto per la prima volta The kid (Il monello in italiano ma la traduzione non mi piace) di Charlie Chaplin. E’ stata la mia prima volta e non ero preparata. Sì avevo visto tanti trailers qui e lì, e li avevo anche usati per il montaggio di alcuni servizi dedicati al cinema muto, avevo visto anche altri suoi film “Il grande dittatore” e “Charlot”, sempre a pezzetti un po’ qui un po’ lì. E a dire il vero ho anche letto molto su Chaplin, tutta la sua storia, la vita, le recensioni, etc. Ma mai avevo visto il film intero e tanto meno seduta a teatro con un’orchestra che suonava dal vivo. Mai.

Jackie Coogan e Charlie Chaplin

Ebbene è stato travolgente, trascinante, prorompente: un film muto mi ha fatto sentire con una chiarezza pazzesca, tantissime emozioni definite da così tante sfumature che se non l’avessi provato non ci crederei.

Seduta in seconda galleria al teatro Verdi di Pordenone la storia di questo bambino mi scorreva davanti e ogni sguardo, ogni gesto, ogni espressione del volto del piccolo John, di Chaplin e degli altri attori mi sono penetrati dentro accompagnati dalla musica perfetta dell’orchestra San Marco e una volta entrati hanno scatenato un turbinio, un subbuglio, un frastuono pazzesco di sentimenti.

E mi rendo conto che faccio fatica a trovare le parole per descrivervi quello che ho provato, mi è difficile innanzitutto perché mi sono accorta che gli aggettivi che uso sono annacquati dall’abitudine di usarli e da un tipo di linguaggio che dice sempre meno e appiattisce tutto: intenso, bellissimo, divertente, commovente, particolare, importante, li uso troppo spesso soprattutto per velocità, sono già lì, i primi sulla punta della lingua sempre pronti ad esibirsi che non si sbaglia mai, esagerando in bene nessuno si offende. E adesso per questo vero, grande, raro, stupefacente capolavoro non trovo le parole giuste.

Come dirvelo, The kid, fotogramma dopo fotogramma mi è entrato dentro ha oltrepassato il pericardio ha scovato il misterioso impulso che fa pulsare il cuore e lo ha rianimato e io ho iniziato a sentire scorrermi la vita nelle vene più ricca e intensa. E ha fatto tutto senza dire una parola. E senza dire una parola adesso mi sta spingendo a cercare le parole giuste per descriverlo e mi sta facendo sentire la debolezza del mio linguaggio.

Charlie Chaplin – che ha scritto, diretto, prodotto e creato la musica che accompagna questo film, per la cui storia si è ispirato direttamente alla sua vita- la paura dell’orfanotrofio, dell’abbandono, la miseria, le meschinità della vita lui le ha vissute e le ha raccontate facendomele provare: io ho sentito freddo nella sua camera mentre indugiava a letto con addosso coperte bucate e lise, ho sentito il dolore straziante che si è poi trasformato in rabbia, terrore e violenza quando gli volevano portare via il bambino, ma ho anche riso quando seduceva la moglie del poliziotto e ho riso anche quando il piccolo rompeva le finestre coi sassi e non erano marachelle (ecco perché monello non mi piace) ma solo strategie di sopravvivenza.

Ho riso e pianto tanto.

Chaplin con un film muto è riuscito a farmi sentire (e dico sentire non vedere) la miseria delle periferie abbandonate a se stesse, la violenza e la prepotenza che le abita ma mi ha anche fatto sentire l’amore intenso e appassionato di un padre (suo malgrado) e di un bimbo che gli chiede solo amore e lo ricambia con una tenerezza che risuona in ogni bacio in ogni sguardo, e poi c’è anche la forza di una donna che sbaglia, si rialza, paga e poi…. e poi dovete andare al cinema, a teatro ovunque daranno questo film, andate, andate a vederlo.

Jackie Coogan interpreta “The Kid” di Charlie Chaplin

E per dirvela proprio tutta alla fine della proiezione con Tomaso abbiamo fatto a caldo uno special, The kid infatti è stato proiettato per la prima volta a Le giornate del cinema muto di Pordenone e insomma era un evento, ma io ero stordita da tutto questo frastuono che mi è esploso dentro, col viso struccato dalle lacrime e vi confesso che fare la trasmissione non mi è stato proprio facile e insomma la vedrete e spero capirete.

Marianna Maior

Sabato 14 settembre sarò a Milano in Libreria Esoterica (per chi volesse venire si trova in Galleria Unione 1 e si inizia alle 17.30) Ovviamente porto con me il mio libro e parlerò di lui. Perché in una libreria esoterica? Lo dico nel video 😉 buon ascolto 🙂

IL CANTO DELL’ARCOBALENO: LA SINESTESIA

ore 18,00 in sala Teresina Degan , biblioteca civica- Pordenone

Cosa hanno in comune Jimy Hendrix, Vincent Van Gogh e Nicola Tesla?
Come sarebbe il nostro mondo se gli occhi potessero ascoltare e se le orecchie potessero vedere? Perché abbiamo cellule olfattive nel sangue, nel cuore e nei polmoni? Se potessimo avere percezioni sinestetiche con tutti i sensi, cambierebbe il nostro modo di valutare il mondo? E se dall’attivazione dalla percezione sinestetica arrivassimo a scoprire che alcune forme di percezione, per il momento riconosciute solo agli animali, come la capacità di rilevare i campi elettrici o i campi magnetici, fossero proprie anche dell’essere umano ma ancora dormienti? E ancora, perché Pitagora, Aristotele, l’Arcimboldi, Leonardo da Vinci, Schopenhauer, Goethe, Castel, Kant, Eulero, Rol, Helena Blavatsky, Luigi Veronesi, e molti altri ancora hanno dedicato gran parte delle loro riflessioni a esplorare colore e suono, sia separatamente che insieme? C’è forse qualcosa dentro di noi che brama di essere scoperto e ci spinge in tutti i modi a indagare il mondo delle percezioni, per essere trovato? Queste sono alcune domande che l’autrice si pone e alle quali cerca di dare una risposta con questo saggio dedicato alla sinestesia, una capacità sensoriale che caratterizza il 4% della popolazione…