Magritte, Van Gogh, Basquiat, Mondrian, Dalì, ovviamente sono tutti nomi di (alcuni) grandi pittori dell’arte moderna. Appartengono al gruppo dei migliori, i più conosciuti, i più amati, sacre divinità nell’olimpo della pittura e per questo intoccabili. Per un non addetto ai lavori cercare di comprenderne la tipicità, l’essenza della bravura è assai difficile. Nel web si girovaga da un sito all’altro alla ricerca di una chiave di lettura, un aiuto nell’interpretazione ma ci si ritrova a leggere sempre le stesse cose: sterili sequenze di parole, incapaci di trasmettere l’anima, la forza (o la debolezza) del pittore. Perché Renoir, ad esempio, è un pittore importante? Cos’hanno i suoi quadri in più? Cosa è stato capace di fare di diverso rispetto agli altri? Sono domande inutili?! Eppure Edouard Manet disse: “Renoir è un ragazzo senza talento. Ditegli, per favore di smettere di dipingere”. Questo è solo un caso, ma sicuramente ce ne sono altri anche in altri ambiti artistici. Aneddoti certo, ma che parlano di critica e opinioni diverse. Che fine fanno poi questi punti di vista personali? Perché quando un artista diventa “grande”, giudizi diversi su di lui sono una rarità? Quanti invece, sono i “grandi” artisti rimasti anonimi solo perché non incensati dalle giuste persone? O peggio ancora, morti poveri perché chi aveva il potere di farli emergere ha preferito aspettare pazientemente? La critica è strana, spesso, inutilmente feroce, specie con lo sconosciuto, ma ossequiosa e compiacente con chi è già stato piazzato sul piedistallo. Ecco perché, forse, meglio di milioni di parole sul web, di questi grandi artisti, ho imparato qualcosa in più proprio da chi di essi in fondo si è preso gioco. Mi riferisco a Philippe Wattez, in arte Lipphi, presentato nello Spazio d’Arte del vivaio Bejaflor di Portogruaro il 9 gennaio 2016. La mostra mi è piaciuta. Molto. L’artista ha avuto il coraggio di reinterpretare le opere dei grandi. Non si confronta con loro. Semplicemente li guarda con uno sguardo monello e li ridisegna con l’ironia dei bambini, con uno spirito dissacrante ma puro e di stima. «Il Modigliani» di Wattez in particolare è unico, stupendo. La donna col collo tipico della pittura di Modigliani non poteva essere più eloquente. Il collo di Lipphi non è dritto ma piegato, non troppo, il giusto per sfidare la gravità e l’anatomia sottolineando il rischio che si era preso il pittore italiano. Wattez dimostra un’ironia finissima capace di esaltare e far entrare nell’opera e nella personalità degli artisti, ma dichiarando con chiarezza e al contempo la propria personalità e il proprio carattere. Riesce ad usare la caratteristica dei grandi pittori per farla diventare anche voce, distinta, di se stesso. In questo processo artistico una stessa idea è sacra e dissacrata al contempo, e l’artista di ieri, musa ispiratrice di oggi, ne è totalmente complice.
Gli autori che hanno ispirato l’opera di Lipphi, sono: Frida Calo, Pollock, Basquiat, Mirò, Gauguin, Dalì, Modignani, Picasso, Haring, Warhol, Matisse, Mirò, Mondrian, Rothko, Bacon, Giacometti, Leger, Lichtenstein, De Chirico, Van Gogh, Magritte. Per vedere questi lavori pieni di energia c’è tempo fino a fine gennaio nello spazio arte del Vivaio Bejaflor a Portogruaro.
Marianna Maiorino
Riempiamoci gli occhi di arte, diamo nutrimento all’anima, ne gioveranno anche mente e corpo.
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