Zitto io, mi sto zitto, non sono affari miei, pensa Tilio mentre conta le candele, le poggia una vicina all’altra, finisce la prima riga, tra sé ripete non sono affari miei”. Inizia così “L’apprendista”, ultimo romanzo, edito da Sem, di Gian Mario Villalta, poeta, scrittore, insegnante e direttore artistico di pordenonelegge.it, che con questo romanzo è tra i 12 finalisti al Premio Strega 2020.
I personaggi Fredi e Tilio
Tilio è un uomo di 72 anni ed è lui l’apprendista. Apprendista sacrestano. Siamo in una città del nord est non meglio identificata, sappiamo solo che è vicina a Pordenone. La storia abbraccia tutta l’estate da maggio a settembre e si sviluppa dentro una chiesa tra la sacrestia e l’altare dove due uomini, Fredi e Tilio, giorno dopo giorno si raccontano la loro vita, si conoscono e iniziano a volersi bene. Fredi, il sacrestano, ha 85 anni è silenzioso e chiuso, con le sue regole di vita, dentro e fuori la chiesa. Tilio invece è chiacchierone, curioso e vuole imparare il mestiere del sacrestano; come gli sia venuta questa voglia non si sa forse un giorno si trovava a passare di lì e poi ha cominciato a ritornarci tutti giorni per occupare il tempo o forse proprio per aiutare Fredi, questo l’autore lo lascia nell’ombra, preoccupandosi solo di portare il lettore in chiesa davanti alle candele e presentargli il personaggio Tilio, e da questo momento tenerlo al suo fianco riga dopo riga dentro una storia che racconta di uomini e mondi, compreso quello cattolico, che stanno scomparendo o semplicemente cambiando. Ed è uno stare dentro la storia, quello del lettore, che già dalle prime righe è un po’ come stare su un palco in un teatro insieme agli attori, i due personaggi, e seguirli, osservarli, scoprirli, come una presenza invisibile per tutto il romanzo.
I due uomini, anziani, su questo “palco” narrativo in cui la scena si muove dall’altare della chiesa alla sacrestia, al ritmo cadenzato dal sacro susseguirsi dei gesti rituali, si raccontano brandelli di vita e il lettore è lì presente capace di ascoltare, sia le parole dette che quelle solo pensate perché ci sono limiti che è bene non oltrepassare. E il lettore in questo luogo sacro che è chiesa ma anche romanzo è sempre presente, in ascolto.
Il racconto, grazie alla delicatezza e alla precisione poetica della scrittura di Villalta, porta il lettore nella profondità dell’animo dei personaggi, là dove ognuno dalla propria prospettiva che sia quella di figlio/a padre/madre o amico/a, può rivedere e rivivere una parte della propria storia fosse solo per quello stare in chiesa durante una messa e pensare ad altro.
“Quando era bambino, forse un ragazzino, che già si immaginava le parole come erano scritte, ripeteva a mente: Ah peste fame belo! Così diceva il prete, per come aveva capito lui. Peste Fammi bello. Un bel rebus […] Poi più tardi l’aveva inteso, che non era così…” da L’Apprendista di Gian Mario Villalta
Lettura sinestesica: Tra le pagine l’odore di incenso c’è se non altro per il luogo in cui è ambientato il romanzo, ma poi in realtà prevalgono il profumo del pane con l’uvetta e quello di caffè appena fatto corretto vodka che, pagina dopo pagina, assumono il colore dell’amicizia che si mischia a quello della vita.