
Disarmare le parole: il Papa, i giornalisti e il peso della verità
«Solo i popoli informati possono fare scelte libere». Con questa frase, Leone XIV ha offerto uno degli applausi più fragorosi della sua giovane elezione, rendendo omaggio ai giornalisti incarcerati per aver cercato di raccontare la verità. Li ha definiti coraggiosi, li ha voluti liberi, li ha messi al centro di una Chiesa che – almeno nei suoi auspici – non teme la trasparenza.
Nel suo primo grande discorso sulla comunicazione, il Pontefice ha elogiato anche i reporter di guerra, veri testimoni dell’umanità lacerata, ricordando quanto sia urgente «disarmare le parole» per «contribuire a disarmare la Terra». È un’esortazione che va oltre la retorica: è un invito a uscire dalla confusione babelica della comunicazione ideologica e senza amore.
«Non possono esistere una comunicazione e un giornalismo fuori dal tempo e dalla storia», ha affermato. Parole che sembrano gettare ombra su una gestione vaticana spesso sorda al tempo presente, come dimostrano i recenti inciampi del Dicastero per la Comunicazione.
Eppure, in un mondo che si nutre di silenzi comodi e notizie usa-e-getta, il Papa rilancia il valore del giornalismo come atto di responsabilità e servizio. Un pensiero che riecheggia Albert Camus: «Un giornalista è colui che guarda il mondo e non distoglie lo sguardo».
In un’Aula Nervi segnata da sorrisi di circostanza e posizionamenti strategici, Leone XIV ha scelto il gesto sobrio: niente selfie, nessuna concessione all’effimero. Come a dire che la verità non ha bisogno di filtri.
«La libertà di stampa è il pilastro di ogni democrazia», scriveva Hannah Arendt. Il nuovo Papa sembra saperlo bene. E chissà che nel suo dossier sulle finanze vaticane non trovi anche un capitolo sul valore – non solo economico – di una comunicazione degna del Vangelo che dice di servire.
AD MAIORA SEMPER