Spiaggia isola di Sliema, Malta

La valigia è leggera, piena solo di voglia di sole caldo e di mare turchino perché come la famosa fata deve far sparire tutta la stanchezza insieme a quella sensazione di “uff non ne posso proprio più”. Il volo è alle spalle e mancano solo 20 minuti di taxi per arrivare in albergo. La giornata è tutta davanti.

Guardo fuori dal finestrino e per i primi 5 minuti il paesaggio mi propone campi secchi con piante di rosmarino e timo qua e là, ma mica poi tanto qua e là e più un laggiù e un lassù. Più avanziamo, più la temperatura del taxi scende avvicinandosi ai 12 gradi, più le uniche cose verticali che sbucano sulla superficie della terra sono: gru, tantissime gru, e intorno alle gru mucchi di mattoni grigi e poi muri di mattoni grigi, che tra un mattone e l’altro lasciano passare la luce e sembra il colmo che a Malta non usino la malta.

Arriviamo in hotel, era un 4 stelle su booking e anche sulla carta di credito, ma è evidente che dopo la nostra prenotazione devono aver restituito le altre tre stelle a un cugino o a un parente bisognoso e così a noi ne resta solo una. Siamo al settimo piano, l’ascensore gracchia, le porte si aprono con l’affanno. Percorro il corridoio che pare quello di un manicomio del secolo scorso, i muri sono decorati da numerose macchie di umidità, mentre dal soffitto pezzi di intonaco cercano di fuggire gettandosi a terra, a volte riuscendoci altre rimanendo intrappolati a metà.

Beh avete capito, e se tanto mi dà tanto evitatemi la descrizione della stanza, aggiungo solo che la vista era su un altro palazzo della stessa altezza talmente ravvicinato che mio marito ed io avremmo potuto presentarci  ai vicini dell’altro palazzo con tanto di stretta di mano.

Non vedo l’ora di uscire da questa stanza. E così lasciate le valige in un angolo, siamo già giù in strada. Mi guardo intorno avvilita e delusa: ma dove siamo finiti? Ok, di fatto siamo a Sliema sull’isola di Malta, a 2 km in linea d’aria da La Valletta. Attraversiamo la strada che ci separa dal mare e guardo la spiaggia e la guardo ancora e ancora. “Ma cos’è quella cosa lì?” Ho avuto un anno intenso e penso sarà stanchezza, o forse la vista mi è peggiorata, quindi strizzo gli occhi più che posso eppure ho gli occhiali da vista su. Cerco di mettere ancora a fuoco ma niente, io vedo sempre una strana spiaggia senza sabbia,  una finta spiaggia ricoperta di malta: cazzo, hanno cementato la spiaggia! Allora, quella che risparmiano non mettendola tra i mattoni va a finire qui.  Guardo mio marito e gli dico  “Ci sarebbero 40 gradi all’ombra se ci fosse l’ombra e questi deficienti hanno cementato anche le spiagge”. Lui non mi risponde niente ma è chiaro siamo entrambi affranti, non era proprio quello che immaginavamo. A me sale un nodo in gola. E’ la mia vacanza capite e quella doveva essere la mia spiaggia in questi pochi giorni.

Ci sediamo a un bar e guardiamo cosa dice la guida.. parla di belle spiagge  ed infatti questa deserta davanti ai nostri occhi non è menzionata, la prima in lista dista 20 minuti di taxi. Andiamo.

Quando arriviamo davanti a noi ecco apparire 700 metri di spiaggia con sabbia vera, e una densità della popolazione (balneare) inferiore solo a Shangai. Tutto intorno alla spiaggia che sarà profonda un 5 metri, inizia subito il cemento dello stabilimento: un bel ristorantone tutto piastrellato ovunque, che si sviluppa a terrazze, senza nemmeno un filo d’erba solo l’ombra di un cespuglio di rosmarino preso d’assalto dalle vespe. Temperatura percepita 55 gradi. Sono le 2 del pomeriggio, siamo il 12 di agosto. E io soffro di pressione bassa, a tratti inizio a vedere nero sento che il sangue si sta lentamente raccogliendo ai miei piedi, forse non era solo pressione bassa ma anche voglia di sparire, nascondersi al fresco sotto terra ma l’impresa sarebbe stata ardua i globuli rossi e anche quelli bianchi avrebbero dovuto smantellare i vari molteplici getti di cemento, quindi impresa impossibile. Questo pensiero insieme alla vista di un cartello con la scritta grande in italiano “gita in barca” mi rialza di un filo la pressione, mio marito che è più veloce di me ha già i biglietti in mano, e così lo seguo verso la barca con difficoltà visto che le infradito di plastica ad ogni passo si attaccano al cemento bollente.

La barca ci porta a Comino in una insenatura dove insieme ad altre 400 barche, alcune grandi altre meno, dividiamo un fazzoletto di mare azzurro ascoltando il ritmo della trap a destra, la vaporwave a sinistra e di qualche altro stile che non conosco più in là a destra e a sinistra, ma ogni barca è popolata più o meno dalla stessa fauna: giovani tatuati, con gli occhiali da sole, depilati, che esibiscono lattine di birra come trofei, accoppiati a giovani ragazze con grossi seni , piccoli costumini che spariscono nei glutei e sguardi marcati da folte, finte ciglia che fanno ombra alle guance. I giovani si dimenano mettendo in scena la danza dell’accoppiamento fatta di sguardi, ammiccamenti con le labbra e colpi di anca che a ritmo di musica chiariscono, se ce ne fosse bisogno, tutte le loro voglie.

Rimaniamo in acqua tutto il tempo riemergiamo solo quando il marinaio leva l’ancora e ci fa segno che è ora.  

Torniamo in albergo, mangiamo, io mi avvilisco,  mio marito invece cerca e trova un altro albergo, sembra bello: lo prenota, lo paga.

Il giorno dopo andiamo a vederlo abbiamo appuntamento alle 9.00 Non c’è nessuno. Il posto è tipo apparthotel, ma nessuno ci apre. Chiamiamo. Non rispondono. Nel frattempo dei ragazzi entrano nello stabile e così entriamo anche noi, la reception sembra bella. Alla fine il tipo dell’agenzia ci richiama e ci avvisa che una sua assistente sta arrivando. Dopo mezz’ora arrivano due tipi italiani, su una macchina i cui pezzi stanno in piedi con lo spago.  La donna scende ci viene incontro e ci dice che è tanto dispiaciuta e aggiunge “quando avete prenotato, booking ci ha trasmesso la prenotazione in ritardo e noi nel frattempo abbiamo dato questa stanza ad altri che l’hanno già presa in consegna..”, “Ma” continua con uno sguardo più insidioso che affranto “abbiamo un’altra stanza da proporvi molto più bella di questa a 5 minuti da qua”. Mio marito è furioso, io anche ma pur bofonchiando e lamentandoci entrambi andiamo a vedere l’altra offerta. Saliamo in auto, e ci sediamo  tra un seggiolino, carte sporche e pezzi di cibo abbandonato. Chiudo la porta. L’uomo alla guida non parla mai , la donna di tanto in tanto sibila che la stanza che stiamo andando a vedere “E’ più bella di quella che avete già pagato credetemi”. Io guardo mio marito e penso a con quanta leggerezza ci siamo affidati ai primi che si sono presentati come i referenti dell’agenzia, che dalla loro auto e presenza era abbastanza evidente non avessero niente a che fare con lo stile dello stabile dal quale ci stavano allontanando. Guardo fuori, sembra di essere indietro di 50 anni in una terra divorata dal cemento, che viene gettato a caso ma ovunque. Il tragitto sembra eterno. Riporto lo sguardo sulle nuche dei due tipi. Un pensiero mi attraversa la mente: e se ci stessero rapendo?

A un tratto l’auto si ferma. Il tipo senza voce, parcheggia in una strada dissestata, ovunque andiamo siamo dentro un cantiere. I tipi ci fanno strada e arriviamo davanti a uno stabile vecchio, almeno lo stile è anni 70, con gli infissi in alluminio marrone e le scale strette piene di polvere come la pianta finta messa nell’angolo del pianerottolo. La tipa, apre la porta. Entriamo. Io guardo davanti a me, le tapparelle aperte a metà lasciano filtrare la luce. La cucina alla mia destra è in legno scuro  tipo taverna anni 80 , alcuni piatti giacevano sul ripiano con ragnatele che li univano al rubinetto. A sinistra un divano con fodera a fiori gialli, marroni, arancioni e verdi, davanti un tavolo rotondo con giornali e fogli sparsi sopra, in parte sul muro una vetrinetta, tutto nella stanza è ricoperto da uno strato di polvere nel quale gli archeologi scavando potrebbero ancora trovare, nei numerosi strati, tracce dei vecchi proprietari, che sembrano scomparsi senza preavviso diversi  anni fa lasciando tutto così com’era.  

Mio marito si infuria, invita i due personaggi a smetterla di prenderci in giro e nella discussione animata, scopriamo poi che i due non avevano niente a che fare con l’agenzia dalla quale avevamo prenotato, ma erano solo amici del proprietario dell’agenzia e che si erano proposti di risolvergli il problema rifilando a noi un appartamento che con molta probabilità era di qualche loro parente andato in ferie.

Ci riportano dove ci avevano preso. E salutandoli li avvisiamo che avremmo fatto continuare la discussione al nostro avvocato.

Per fortuna in tutto questo abbiamo un corso di inglese da fare così andiamo a lezione. La scuola è ok. L’insegnante è brava, gli studenti sono molto giovani e hanno tutti l’area di essere arrivati direttamente dalla serata in discoteca.

Finita la lezione andiamo a visitare il paese. Mi guardo intorno e continuo a pensare ma dove sono finita? Questo posto è una giungla di cemento. Sembra un concentrato di anni 70 elevato alla novantesima potenza. Qui costruiscono palazzi su palazzi, tutti attaccati, altissimi, che pur nuovi son già vecchi. Le costruzioni arrivano sino al mare, là dove la spiaggia non è cementata, le costruzioni si immergono direttamente nell’acqua. Non ci sono giardinetti, né piccole aiuole, né fontane, l’unica che ho visto era senza acqua e piena di immondizia che col passare dei giorni aumentava. I pochi alberi che si vedono sopravvivono a stento ai margini della strada e sono ricoperti di smog e polvere. Nel paesaggio urbano specie la sera si notano diversi casinò e scopro poi che Malta è la patria delle società di gaming, qui sono numerosissime grazie alle agevolazioni fiscali concesse dal governo maltese. L’atmosfera che si respira è infatti quella di un luogo malavitoso, dove regnano bruttezza e disonestà.

La sera decidiamo di andare a La Valletta il taxi ci lascia in piazza del Tritone anche questa totalmente cementata. Lasciata la piazza alle nostre spalle entriamo in città, non è male anche se un po’ sporca. A cena accanto al nostro tavolo ci sono degli autoctoni che parlano italiano, non ricordo come ma iniziamo a parlare e io chiedo come mai non ci siano alberi e come mai sia costruito tutto in modo così fitto e la persona più vicina a me ha iniziato a raccontarmi, parlando a bassa voce, che l’isola è una delle più cementificate al mondo, l’edilizia è senza freni perché in mano a gente senza scrupoli, addirittura si può costruire su edifici vecchi rialzando i piani, al che io penso chissà se poi strutture progettate per due piani siano in grado di sorreggerne altri, ma non lo dico e continuo ad ascoltare, la persona dice anche che l’isola è comandata da diverse mafie e che polizia e magistratura sono corrotte. Insomma ci dice che Malta non è proprio un bel posticino. Solo durante questa cena mi viene in mente il caso di Dafne Caruana Galizia e mi do della stupida per non essermelo ricordato prima.  Dafne infatti è la giornalista maltese che con il suo blog era il punto di riferimento per tutti i giornalisti dell’isola, era perché è stata uccisa da un’auto bomba nel 2017. Dafne nel corso del tempo aveva accusato: la magistratura maltese, fu la prima a dare ai giornali la notizia del coinvolgimento dei politici governativi Konrad Mizzi e Keith Schembri nei Panama Papers, e dichiarò che la Egrant, un’altra società di Panama, era di proprietà di Michelle Muscat, moglie del primo ministro maltese Joseph Muscat. Pochi mesi dopo queste dichiarazioni Dafne è stata uccisa .

La cena finisce e dopo pochi giorni di varie vicissitudini spiacevoli anche la vacanza per fortuna finisce.

A casa da questo viaggio ci siamo portati solo una certezza noi a Malta non ci torneremo mai più. Io di certo non lo farò.

Dalla finestra di casa mia adesso mi godo il verde e la grande quantità di alberi che circondano la mia casa e che ringrazio uno a uno perché ho sentito sulla mia pelle quella sensazione angosciante di essere circondata da un mostro grigio senza volto che divora e distrugge bellezza e armonia per lasciare i propri escrementi grazie ai quali vivono molti parassiti ossequiosi e ubbidienti, cimici puzzolenti che minimizzano e ridicolizzano le proteste della gente, la cui terra e vita sono imbruttite dalla loro presenza.

Con questo pensiero mi siedo al pc e faccio qualche ricerca, vorrei capire qualcosa in più di una terra così devastata e così mi sono imbattuta in molti articoli che spiegano bene la situazione, e poi sono finita anche nella pagina facebook del figlio di Dafne Caruana Galizia, Matthew, che lavora per The International Consortium of Investigative Journalists. E guarda caso aveva da pochi minuti pubblicato un post con il quale riferendosi ai vari movimenti che invitano le autorità maltesi a rispettare l’ambiente e l’estetica delle costruzioni, in inglese ha scritto:

(Questi movimenti) “stanno dimenticando che il governo di Malta è oggi una organizzazione criminale o è al servizio delle più grandi organizzazioni criminali. […]

E ancora

Chi sono le persone che realizzano profitti dal piano di governo che spende 0,7 bilioni di euro pavimentando l’intera isola? Diamo un occhio ai membri del consorzio “pre designato” a vincere la gara d’appalto: James Fenech, un trafficante d’armi in affari con Erik Prince (così che mentre le ONG di ricerca e soccorso dei rifugiati sono bandite dalle acque maltesi da Joseph Muscat, le  persone che traggono profitto dalle stesse guerre che creano rifugiati per il governo maltese vanno invece bene),  Joseph Portelli, uno sviluppatore che gestisce un impianto di calcestruzzo illegale, facendo da prestanome a individui ancora sconosciuti. E infine Kurt Buttigieg, candidato per il Partito Laburista… ”.

Chiudo la pagina di Matthew, alzo lo sguardo verso la finestra.

Malta è una piccola isola che poteva essere un gioiello stupendo e invece, è stata sfregiata e colpita da un brutto cancro, che se prende forza, dal cuore del mediterraneo può estendersi in tutta Europa dove peraltro ha già molte basi operative. L’indifferenza e l’ignavia, soprattutto della politica, la pagheremo tutti.