Mannoia e Gabbani, avessimo dovuto scommettere vedendoli sul palco così, uno a fianco all’alt7c48434ace77c43c5faf8f8570233c99_mgzoomra, avremmo messo, tutti, lei al primo posto e lui al secondo. Di sicuro così ha fatto anche Gabbani che evidentemente imbarazzato per la vittoria, la prima cosa che ha fatto è stata quella di inchinarsi davanti alla Mannoia. Ma, invece, ha vinto lui e (per me) anche meritatamente, vi spiego perché.
La canzone della Mannoia parla della vita, “per quanto assurda e complessa ci sembri, la vita è perfetta/ per quanto sembri incoerente e testarda se cadi ti aspetta”, dice. E lei è superba, interpreta ogni parola caricandola di una potenza che è però tutta da ascrivere alla sua grande capacità interpretativa. Il testo in realtà è più fragile e proprio nella sua essenza. La vita, dice, te la devi tenere stretta, la devi benedire. Ma, forse è proprio qui il problema: la vita così com’è per nessuno è perfetta e certo non vorremo che continuasse ad aspettarci, così com’è sempre la stessa. Nel testo manca un pezzo. Manca qualcosa, una spinta, una forza. Manca  l’idea di cosa sia quella vita vissuta davvero, posto che, a chi ha perso tutto oggi manca la forza per ripartire da zero, perché poi spesso chi ha perso tutto se l’è anche dimenticato cosa sia quel “vivere davvero”. L’interpretazione è perfetta seria, intellettuale, impegnata. Ma ti presenta una vita ferma, come lo è la perfezione.
Gabbani invece ha presentato un testo feroce. Espone al contrario l’altra faccia della vita, e fa una lista chiara e forte di tutti gli aspetti negativi. “Essere o dover essere, il dubbio amletico”, cioè, siamo incapaci di essere, perché dobbiamo essere (cosa e chi, sappiamo chi ce lo suggerisce); siamo chiusi in una gabbia due per tre (le nostre camere? Gli uffici?), di sicuro spazi limitati, nei quali l’uomo rinchiude la sua parte animale, istintiva, naturale. La rinnega, eppure siamo anche quella che, forse, non è affatto la nostra parte peggiore. “Soci onorari del gruppo dei selfisti anonimi”, ovvero malati di un narcisismo che sta superando ogni limite, e riempiamo i social con le nostre belle facce per ogni smorfia che sappiamo fare. E poi c’è il profumo, ovviamente Chanel, che serve proprio a metterci in salvo dall’odore dei nostri simili. Poi la definizione del web: coca per i popoli, oppio per i poveri. E a fare da sfondo, c’è la consapevolezza, che abbiamo più o meno tutti, che le cose così non vanno, che la vita non è affatto perfetta, e cosa facciamo? Ci rifugiamo nelle dottrine orientali, rinnegando così anche le radici della nostra cultura: “tutto scorre, panta rei” e andiamo a lezioni di Nirvana e alé cioè… Namastè; quest’accozzaglia culturale è poi tutta anticipata e sintetizzata nel titolo Occidentali’s Karma: una parola italiana, il genitivo sassone dalla grammatica inglese e karma, una parola indiana.
Ma la vera forza di questa canzone è la capacità di dire cose pesanti, facendole veicolare con l’energia della musica e l’ironia dell’interpretazione. Non ti lascia depresso e annichilito a pensare sul divano. Questa canzone ti fa alzare e il suo ritmo ti smuove, ti (ri)mette in piedi: la scimmia si rialza, dice, come già fece nella sua evoluzione quando si mise in posizione eretta per la prima volta e cominciò il cammino per diventare umana… e questa forse è ancora una speranza.

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