Meta ha annunciato che inizierà a utilizzare i dati pubblici degli utenti europei per addestrare la propria Intelligenza Artificiale. L’attività riguarderà post, commenti, contenuti e interazioni condivise pubblicamente su Facebook e Instagram, mentre resteranno esclusi i messaggi privati. Gli utenti dell’Unione europea sopra i 18 anni riceveranno notifiche via app o email per essere informati sull’inizio delle operazioni e sul tipo di dati coinvolti.

La società fondata da Mark Zuckerberg spiega che questa raccolta servirà a “migliorare l’esperienza utente” e a rendere l’IA più sensibile alle culture europee. Parole vaghe per non dire vuote. Cosa vuol dire migliorare l’esperienza dell’utente? Lo stabilisce lui cosa migliora la mia esperienza? E queste sono solo alcune osservazioni, in realtà gli interrogativi sono molti e seri.

“Il vero problema è la trasparenza,” afferma Luca Bolognini, presidente dell’Istituto Italiano per la Privacy. “È fondamentale che gli utenti comprendano fino in fondo cosa sta accadendo ai loro dati. Anche se si parla di contenuti pubblici, il modo in cui questi vengono rielaborati da un’intelligenza artificiale può generare profili, analisi predittive e automatismi non sempre controllabili”.

Anche l’avvocato e docente di diritto della privacy Ginevra Cerrina Feroni sottolinea che “il consenso deve essere libero, specifico, informato. La semplice pubblicazione di contenuti non può essere interpretata come un assenso implicito a fini di addestramento IA. Serve un reale meccanismo opt-out chiaro ed efficace, accessibile a tutti.”

Meta assicura che ci sarà un modulo facile da compilare per opporsi all’uso dei propri dati. Ma c’è chi teme che l’accesso a questo modulo possa risultare poco visibile o complicato da raggiungere. “È una strategia nota: rendere teoricamente possibile il rifiuto, ma di fatto difficile da esercitare,” avverte il professor Stefano Quintarelli, esperto di regolamentazione digitale. “È l’illusione del controllo.”

In parallelo, oltreoceano, Meta è sotto processo a Washington per presunto comportamento anti-concorrenziale, a causa delle acquisizioni di Instagram e WhatsApp. Un’ombra pesante che si riflette anche sulla fiducia degli utenti.

La mia opinione personale? Questa mossa di Meta non lascia un buon sapore. L’idea che un algoritmo si nutra dei nostri contenuti pubblici, anche se teoricamente accessibili, crea un senso di invasione silenziosa. Un conto è condividere qualcosa con un pubblico umano. Un altro è offrire, consapevolmente o meno, materia prima a una macchina il cui scopo finale resta oscuro. Perchè dobbiamo nutrire le macchine con i nostri dati? Questa situazione porta la mia mente al film Matrix, in cui gli esseri umani servivano solo per nutrire le macchine , la nostra essenza vitale era il loro nutrimento. Oggi capisco di più quel film, altro che fantascienza, una terribile realtà, in cui la nostra opinione tra l’altro non la chiede nessuno e per difenderci, ci viene dato in mano un modulo. Da trovare. Da capire. Da compilare. E poi chi ci garantisce che non useranno i nostri dati comunque?

Ad Maiora

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Danno i numeri sì, nel senso che con i numeri che forniscono i conti non tornano affatto.

Cerchiamo di capirci qualcosa grazie all’ing. Eugenio Florean, autore insieme ai ricercatori Michela Baccini, Bruno Cheli, Rachele Foschi, Giovanni Trambusti e all’avv. Lorenzo Melacarne dello studio del Dipartimento di Statistica e Informatica, dell’Università di Firenze, dal titolo “Analisi della qualità dei dati sulla mortalità dei vaccinati contro la covid19 rilasciati dal Ministero della salute a seguito di sentenza 12013/2023 del Tar del Lazio. Marianna Maiorino riproduzione riservata ©

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