Una decisione senza precedenti: il Tribunale del lavoro di Reggio Emilia ha emesso una sentenza che potrebbe avere implicazioni su scala nazionale, aprendo un nuovo fronte nella responsabilità istituzionale per i danni da vaccino. Il caso riguarda un uomo che sostiene di aver subito gravi danni alla salute a causa del vaccino anti-COVID-19 e che ha quindi chiamato direttamente in causa il Ministero della Salute e l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). Il giudice del lavoro, la dott.ssa Elena Vezzosi ha accolto la richiesta. L’udienza è fissata per il 9 settembre 2025.

Se in passato le azioni legali per danni da vaccinazione, come accaduto già negli anni ’90 con i casi di danni da vaccino antipolio, vedevano come imputate le Aziende Sanitarie Locali (ASL), oggi lo sguardo si sposta su chi ha imposto la vaccinazione senza adeguate garanzie per la tutela della salute pubblica. Una scelta che potrebbe costituire un precedente di grande rilevanza giuridica.

Altro caso emblematico è quello di Ferrara, emerso grazie a un articolo del quotidiano La Verità del 7 febbraio scorso, che racconta di un uomo di 75 anni, affetto da sindrome di Guillain-Barré e grave neuropatia a causa della vaccinazione anti-COVID-19, seguito dall’Avv. Andrea Montanari, l’uomo ha citato in giudizio l’ASL locale chiedendo un risarcimento di 350.000 euro, mentre la Commissione Medica Ospedaliera (CMO) di Padova gli aveva riconosciuto un indennizzo bimestrale di 1.700 euro. In sintesi, per chi fatica ancora a comprendere la portata di queste situazioni: a causa di un vaccino imposto, si può rimanere invalidi a vita, perdere la possibilità di lavorare e vivere in autonomia, ricevendo in cambio della propria salute e del proprio sacrificio 850 euro al mese.

Infatti per quanto la legge 210/92 preveda indennizzi per chi subisce danni irreversibili da vaccinazioni obbligatorie, gli importi riconosciuti risultano irrisori, ridicoli anzi,  rispetto alla gravità delle conseguenze. Una cifra che sembra dimostrare la scarsa considerazione per la salute e la vita dei cittadini.

La decisione del giudice di Reggio Emilia di coinvolgere direttamente il Ministero della Salute e l’AIFA potrebbe segnare una svolta storica nella responsabilità istituzionale. Perché  pone l’accento non solo sulla necessità di risarcimenti più equi e adeguati per le vittime, e potrebbe anche essere l’occasione per far riflettere su un tema più ampio: la gestione di una campagna vaccinale condotta senza le dovute cautele, ignorando le differenze biologiche tra i soggetti e le potenziali reazioni avverse. “Perché la salute non può essere una scommessa”, come affermava il dottor Albert Schweitzer, medico, filosofo e musicologo, vincitore del Premio Nobel per la Pace nel 1952. “Il rispetto per la vita dovrebbe guidare sempre le scelte della società.” E aggiungo io, la giustizia non può restare sorda di fronte a chi ha pagato il prezzo più alto. Ad Maiora

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Le immagini riportate in questo articolo sono di qualche anno fa perché ogni tanto bisogna tornare là dove tutto è cominciato, là dove la violenza verbale ha avuto inizio. Ebbene queste immagini evidenziano nella comunicazione pubblica, l’uso di un linguaggio divisivo, carico di aggressività e discriminatorio, usato (allora e oggi) per affrontare tematiche complesse come la gestione sanitaria e i vaccini. E la cosa ancor più grave è che a pronunciarle sono state (e sono)  persone influenti, rappresentanti istituzionali, giornalisti, esperti, il cui impatto è ancora più profondo nel riuscire ad amplificare il conflitto sociale e disgregare il dialogo.

Leggendo le dichiarazioni riportate nelle immagini, emergono alcune caratteristiche comuni che illustrano il modo in cui il linguaggio viene usato come strumento per polarizzare e stigmatizzare. Molte frasi riportano metafore estreme, come “talebani” o “parassiti”, che non solo disumanizzano l’interlocutore, ma lo relegano in una categoria moralmente inferiore. Paragonare i non vaccinati a terroristi, ad esempio, è una scelta retorica che richiama immagini di pericolo e distruzione, alimentando la paura e la rabbia. Inoltre, affermazioni come: “Non chiamateli no vax. Chiamateli delinquenti” trasformano una posizione, giusta o sbagliata che sia, in un crimine morale. Altre dichiarazioni esprimono un inquietante piacere nel vedere soffrire gli altri, come “Mi divertirò a vederli morire come mosche”, talmente violente e cariche di cinismo brutale e disumanizzante che non meritano nemmeno un commento.

Parole come  “no vax” e “complottista” inoltre altro non sono che etichette, strumenti retorici per semplificare una realtà complessa e liquidare opinioni divergenti senza un vero confronto. Il termine no vax, ad esempio, viene spesso utilizzato per descrivere qualsiasi critica al vaccino o alla gestione pandemica, senza distinguere tra chi ha dubbi legittimi, chi solleva questioni scientifiche o chi rifiuta ideologicamente le vaccinazioni. Questa generalizzazione appiattisce il dibattito, impedendo di distinguere tra posizioni argomentate e disinformazione. Il risultato è una narrazione polarizzata, in cui chiunque osi esprimere riserve viene bollato come ignorante e/o pericoloso. Allo stesso modo, il termine complottista viene utilizzato per screditare a priori ogni opinione che mette in discussione il discorso dominante. Anche se è vero che alcune teorie del complotto possono essere infondate, etichettare automaticamente una persona come complottista perché sostiene qualcosa di diverso, blocca il dialogo e delegittima ogni tentativo di portare argomenti diversi sul tavolo. L’uso indiscriminato di queste parole crea un clima di “pensiero unico”, in cui il dissenso viene elevato a “illecito” e percepito come una minaccia, anziché come una risorsa per migliorare le soluzioni comuni e creano l’idea, questa sì pericolosa, che chi non si conformi rappresenti una minaccia per il bene comune. Questo approccio sfrutta il senso di appartenenza, la creazione di clan, con lo scopo di  isolare ( come fanno i bulli a scuola) chi si pone in modo critico o non si adegua. Ad esempio: “Chi non si vaccina è un irresponsabile, egoista e opportunista. È un parassita”, sono parole che incitano all’odio verso una specifica categoria di persone, creando solo divisione. Questo linguaggio di odio diffuso sui social e tramite i media, normalizza l’aggressività, spoglia le persone della loro dignità individuale, riducendole a una categoria da condannare o addirittura eliminare. Inoltre quando usato da parte di leader e figure pubbliche questo linguaggio legittima comportamenti violenti e persecutori, sia online che offline.

Conclusione

Il linguaggio è uno strumento potente. Può distruggere, dividere e umiliare, ma potrebbe se ben usato, anche unire, educare e ispirare. Oggi è doveroso reimparare ad ascoltare e ad accettare le opinioni diverse, e successivamente a imparare a scegliere con attenzione le parole, soprattutto quando si trattano temi delicati che toccano la vita di milioni di persone. Parole come “no vax” e “complottista” oltre a non rappresentare la realtà che è ben più complessa, vengono usate solo per dividere e alimentare il conflitto e rifiutare il dialogo. Superare la retorica dell’odio e costruire un dialogo civile è una responsabilità collettiva, che parte dall’esempio di chi ha maggiore visibilità, per arrivare al contributo di ogni singolo cittadino. Solo così sarà possibile ricostruire un dibattito pubblico che non si basi su etichette e attacchi, ma su rispetto e ascolto.

Chi ha creato questo clima, (bisogna tornare alla gestione della pandemia dei primi anni , e quindi ai governi Conte e Draghi), è responsabile di una frattura seria e pericolosa nella società, basta fare un giro sui social e vedere post e commenti. Stiamo assistendo a un ritorno alla logica del branco, in cui c’è l’influencer, il politico, o capetto di turno, che prende di mira qualcuno, lo bullizza con il suo clan, magari bloccando la vittima dai social sicché non possa nemmeno replicare e difendersi.

C’è chi addirittura arriva a invitare datori di lavoro a licenziare la persona. Siamo al ritorno di una certa bestialità che così l’umanità però non aveva ancora mai vissuto. Mala tempora currunt.

Le immagini riportano alcune pagine del quotidiano la “Verità” che ha raccolto le frasi d’odio di alcuni personaggi pubblici. Ma l’attualità è piena di altri esempi anche peggiori.