La gioia di vivere, 1905- Matisse

La gioia di vivere, 1905- Matisse

E’ una delle parole più belle che ci siano. Già il solo pronunciarla ti cambia l’umore. Innanzitutto ti riempie la bocca; come un cibo ricco e appagante ti nutre di sé stessa e infine ti lascia con quel dittongo “ia” che ti obbliga a sorridere. La parola è uscita dalle tue labbra ma ti è rimasto dentro tutto il nutrimento, il suo concetto, che si manifesta nel sorriso.

Cos’è la gioia?

E’ uno stato d’animo in qualche modo imparentato con la felicità. Ma non è mai effimera, ha sempre una certa durata e la riconosci perché produce un piacere intenso al corpo e alla mente. La senti espandersi dentro, dal cuore raggiunge le estremità più lontane e non solo del tuo corpo, hai la sensazione infatti di essere più grande, anzi enorme e di inondare l’etere con la tua essenza. Quando sei pervaso dalla gioia non riesci a stare fermo e devi, correre, saltare, abbracciare e condividere quello che provi con chi ti è accanto. Le labbra non c’è verso che restino chiuse, si aprono eccome, in un largo sorriso che coinvolge tutto il viso, e, chi guarda dall’esterno spesso nota che : “ ti ridono anche le orecchie!” Ed è vero, è proprio così. E poi sei più bello/a, più simpatica e hai una luce speciale che ti circonda, che coinvolge e contagia tutti. Nella gioia diventiamo fabbriche potentissime di adrenalina, noradrenalina, beta-endorfina e l’encefalina, ma anche di ossitocina e vasopressina. Che potenza questa gioia! Un sentimento veramente eccezionale, capace di alleggerire all’improvviso tutti i pesi che portiamo…almeno per un po’.  Ma cosa fa scatenare in noi tanta potenza?

Tu, quando provi gioia?

Marianna Maior

letture consigliate:

http://www.macrolibrarsi.it/libri/__la-rivoluzione-del-cervello-libro.php?pn=5772

http://www.macrolibrarsi.it/libri/__ricette-per-la-gioia-libro.php?pn=5772


 


mother-earth

Madre Terra (autore sconosciuto, anche per la foto)

“Vita” è la prima parola per una questione logica. “Vita” è l’energia che anima ogni corpo vivente, animale, vegetale e minerale. Tutto vive. Tutto pulsa, tutto è in costante movimento: tutto è vita. Se in me non ci fosse vita io non potrei scrivere qui davanti al mio pc. Senza la vita in realtà, non ci sarebbe proprio niente da scrivere, da dire, da vedere… Nulla di cui parlare, nulla da pensare. Vita  è la conditio sine qua non.

Siamo vivi e quindi respiriamo, mangiamo, beviamo… innanzitutto per vivere. Poi scriviamo, amiamo, corriamo, camminiamo, viaggiamo, cantiamo … per dare un colore alla vita che altrimenti sarebbe apatia o movimento senza senso.
Perchè vita? Perchè è azione, forza, fluidità, morbidezza, pienezza, contro l’inerzia, l’immobilità, la rigidità. Contro la morte.

Tuttavia non è così semplice: una definizione che stabilisca cosa sia la vita non è stata ancora trovata e nessuno, né scienziato , né filosofo, ad oggi, è stato capace di dirci davvero cosa sia. Forse basterà pensare che è un’energia di cui non conosciamo né l’origine, né la fine, né il perchè. Già. Perché viviamo? Perché siamo qui in questi corpi, fatti in questo modo insieme ad altri animali fatti in modi diversi? Perché siamo circondati da piante, sassi e rocce e terra e aria e acqua? Perché viviamo sospesi, attaccati a una sfera in mezzo allo spazio infinito? Ma chi ha detto che è infinito, poi? E se fossimo solo noi talmente piccoli da non vederne i limiti?

La vita è la forza più potente e più sconosciuta. La vita è il mistero più grande con cui l’uomo deve vivere. Eppur vi gioca senza timore alcuno fino a modificarla e distruggerla.
Eppur, la vita è tutto quello che abbiamo. E vivere è forse l’unico modo per scoprirne il senso o forse ne è il senso stesso.
Di certo, la vita è il punto di partenza di ogni cosa e anch’io l’ho scelta come prima parola.
Quindi, innanzitutto: vita!

Marianna Maior ©

Letture consigliate:

http://www.macrolibrarsi.it/libri/__l-anno-migliore-della-tua-vita.php?pn=5772

http://www.lescienze.it/news/2013/12/07/news/definizione_vita_non_soddisfacente_non_esiste-1920964/

https://it.wikipedia.org/wiki/Vita

la parola di Marianna Maior

La Parola f.to di Marianna Maior

Non è facile scegliere la prima parola da far cadere nel web, la prima che metta in vibrazione ogni singolo filo della rete. Ci ho pensato un po’ e subito alcune candidate si sono messe in fila, ciascuna convinta di essere quella giusta. Io le ho guardate attentamente e ascoltate con attenzione, e ho cercato di immaginarle in questo momento storico che la mia mente si rappresenta come un uragano violento, azionato dalla follia religiosa, dall’incapacità politica, dalla superficialità sociale, dall’avidità, dall’ignavia e da tanti altri comportamenti umani purtroppo in sintonia con questi appena citati. Un uragano è quella cosa che stravolge tutto, distrugge case, strade, addirittura modifica il corso dei fiumi e il profilo delle coste. Ma Alan Turing, in un saggio del 1950, scriveva: «Lo spostamento di un singolo elettrone per un miliardesimo di centimetro, a un momento dato, potrebbe significare la differenza tra due avvenimenti molto diversi, come l’uccisione di un uomo un anno dopo, a causa di una valanga, o la sua salvezza» (Macchine calcolatrici e intelligenza, 1950), poi qualcuno modificò il concetto rendendolo più poetico e forse più efficace, dicendo che “il battito d’ali di una farfalla in Brasile può causare un uragano in Texas”, il famoso effetto farfalla. Quindi, eventi all’apparenza insignificanti e privi di valore sarebbero invece la causa di grandi conseguenze. Se questo è vero, come credo, se un battito d’ali può causare un uragano allora deve essere anche vero che una parola ha il potere di fermarlo.
Bene, allora quale parola per iniziare? Mi sa che ho reso la scelta ancor più difficile, a volte le premesse non aiutano. Il primo suono-parola è quello portante e, come le fondamenta di un edificio, segna già il profilo della costruzione sul quale si erige poi tutto il progetto; su di essa si azioneranno tutti gli altri suoni e dovranno essere in sintonia e risuonare armonicamente per poter creare e sorreggere la creazione stessa. A quale parola potrei affidare tutta questa responsabilità?…

Ecco ce l’ho, è la parola Vita.

Vi spiegherò perché nel prossimo post.
Nel frattempo se avete consigli o parole da suggerire son qui! A presto


Racconto

Ivo era in coda, alcune auto lo precedevano e lui aveva fretta, aveva i colloqui coi genitori. Tamburellava l’indice sul volante nell’attesa che la lentezza altrui prendesse varie direzioni, pensava ai ragazzi, al loro rendimento: era sempre peggio, ogni anno peggio e cercava una soluzione, un modo per svegliare in loro il valore del sapere, era convinto fosse qualcosa di innato, ma forse sbagliava e non se ne dava pace.
Forse Lia aveva ragione. Forse la sua scelta era quella giusta.
Lo sguardo si spostò a destra, nello specchietto e per terra, ai piedi del marciapiede, vide un micio accovacciato, pensò, che strano, non ha la posa di un gatto morto sembra stia dormendo; lo sguardo rimase immobile, l’auto lentamente procedeva e lui si ripeteva che quella posa non era da gatto morto.

Mise la freccia e accostò più che poté. Un clacson iniziò a suonare nervosamente, il solito che ha fretta di andare a fare in culo, pensò mentre aveva già i piedi sull’asfalto. Si diresse verso la bestiola, si chinò, la chiamò schioccando le labbra. Il musetto tumefatto si alzò appena e iniziò a emettere un miagolio sottile, una straziante richiesta d’aiuto proveniva da quella creatura già ricoperta da larve e parassiti mentre un occhio penzolava sporco di sangue e asfalto. Era viva. “Dio mio, come sei ridotta, tieni duro piccola”; Ivo prese il plaid nel baule, vi avvolse la bestiola l’adagiò sul sedile è partì alla ricerca di un veterinario.

Ivo arrivò in ritardo. Aprì di scatto la porta per entrare in sala riunioni e gli si fece incontro una donna strizzata nei jeans.
– Professor Vinci, è mezz’ora che aspetto di parlare con lei…- Tratteneva ogni sillaba tra le labbra nuove di botox.
– Eccomi qui tutto per lei.
-Sono la mamma di Matteo.
Ivo fece un sospiro profondo: -Signora, suo figlio mi preoccupa, è sempre distratto, parla in continuazione, ha sempre un sacco di cose da comunicare a tutti fuorché a me quando lo interrogo.
-Matteo mi dice che parla di cose di scuola, quindi?
Ecco un altro avvocato che invoca l’innocenza del cliente pluripregiudicato, pensò Ivo.
-Dice così? Io non ne sarei così sicuro. A meno che, anche lei, non pensi che le ghiandole mammarie della vicina di banco siano un argomento scolastico…
I colloqui si trascinarono per un paio d’ore, poi Ivo si rimise in auto direzione casa quando il telefono squillò, finalmente Lia! pensò.
“Ciao Ivo! Come stai? E’ tutto pronto sai, domani I fly away!”. Era felice, aveva trovato lavoro a Londra, “una cosa incredibile” sottolineava lei quando raccontava la storia, e rideva sempre sulla parola incredibile, in Italia del resto non le era mai capitato. Aveva mandato un curriculum, solo uno, quasi per scherzo, e le avevano risposto. La chiamarono, le fecero il colloquio e, ancora più incredibile, l’assunsero.
“Ma non sai che bello è sentirti così felice!” le disse Ivo.
“Si, lo sono e lo sarò di più quando anche tu ti trasferirai a Londra. Manda qualche curriculum, lì li leggono, che fai in questo paese senza speranze!”.
Ivo non voleva affrontare ancora quel discorso, ne avevano parlato già mille volte, lui non se la sentiva, i genitori erano anziani, il padre malato, troppo difficile fregarsene e andar via, anzi impossibile.
Così, spostò la conversazione raccontandole della bestiola: “Sai che ho trovato una gatta mezza morta per strada?”.
Lia amava i gatti e lui sapeva che così l’avrebbe distratta.
“L’hai salvata vero? L’hai portata da un veterinario vero? Hai visto lo stronzo che l’ha investita vero?”.
“Calmati!” la interruppe Ivo “Sono anche arrivato tardi ai colloqui per quella micia. Il veterinario dice che è messa male, ha perso un occhio e anche con l’altro pare non veda bene, era incinta, ha perso i cuccioli ma sopravvivrà; non so come, dovevi vederla!”.
“Poverina…”, sussurrò Lia dolcemente, “Ma che fai? La porti in un gattile? A chi la dai?”.
Ivo non c’aveva ancora pensato e meravigliandosi lui stesso delle parole che gli uscirono dalla bocca disse di getto: “Provo a tenerla, non sarà facile visto come l’hanno ridotta ma ci voglio provare. Devo ancora darle un nome, qualche suggerimento?”.
Un attimo di silenzio e poi Lia col suo tono impertinente disse: “Chiamala Italia!” e rise.

Marianna Maiorino

previati le ore

Vola il tempo

dal big bang

si espande lo spazio

sfreccia il tempo.

Cavallo bianco al galoppo

che va avanti

Polverizzando le carni

nel frattempo.

E’ la forza del tempo

del big bang

che gli ha impresso il senso.

Esplodendo in un momento.

Fermalo ora

ferma il tempo

lo puoi fare

Scendendo da esso.

Abbandona la bestia

Lascia che fugga

Impazzita

nell’eterno universo.

14 agosto 2015

Taglio l’erba, solitamente il sabato

mercoledì già sbucano da più parti fiorellini e ciuffi alti.

Sabato quindi la ritaglio.

Ma mercoledì è più fitta e gruppetti di fiori sfacciati sbucano ovunque.

Arriva di nuovo sabato. L’erba è di nuovo alta,  quindi la ritaglio.

Mercoledì il prato è, ancora, di nuovo,

pieno di fiori e ciuffi alti e fieri ovunque

Sabato la ritaglio…

Mercoledì: la natura è emblema di tenacia, niente la fermerà mai,

la sua funzione è la vita, sempre e comunque,

nonostante noi.

agosto 2016


Rieccomi qua, a parlare con me stessa.

Hopaperboy1 passato un paio d’ore a sfogliare i quotidiani locali e come spesso mi accade, una riflessione mi accompagna proprio mentre giro l’ultima pagina e mi trovo faccia a faccia con la pubblicità di turno: perché i giornali locali riportano i morti degli incidenti stradali o domestici? Perché è una notizia, mi direbbe qualcuno, perché alla gente interessa sapere chi muore, ricalcherebbe qualcun altro. I più sofisticati mi direbbero che la cronaca nera fa notizia, che c’è un certo spiccato interesse della popolazione verso questi eventi. Che i giornali vendono di più quando muore qualcuno, anche se è preferibile, per le vendite si intende, che ci sia un assassino. Ma allora, lasciando stare i morti ammazzati da qualcuno, se è notizia uno che muore sulla strada perché non lo è altrettanto uno che muore in ospedale? Quante persone muoiono in ospedale ogni giorno? Sono morti diverse? Che differenza c’è tra uno che perde la vita sull’asfalto e uno che la perde dopo una malattia, o semplicemente dopo aver vissuto tutta la sua vita? Noi lettori facciamo questa differenza? Lo so, sono io che non capisco, del resto scrivo per questo, per chiarirmi le idee. Ma confesso che non mi è facile. Mi lascia molto perplessa questa disparità di trattamento. La morte non ci rende tutti uguali come suggeriva la famosa poesia di Totò “La livella”? Ma ancor di più non capisco perché non facciano notizia: le guarigioni di tutte le persone salvate dai medici (mentre se per caso muore qualcuno sotto i ferri titoli a tutta pagina), le storie di chi sconfigge il cancro (che darebbero speranza e forza a chi si trova a combattere la stessa battaglia), la nascita di nuove creature (considerato soprattutto il tasso di natalità in Italia!) o semplicemente i gesti di solidarietà e amicizia. Perché la morte fa notizia e la vita no? Perché non si considera il fatto che la gente è già messa a dura prova dalla quotidianità, che la depressione è una malattia molto diffusa e grave, senza parlare dell’ansia e degli attacchi di panico che colpiscono sempre più persone? Il malessere in tutte le sue declinazioni è fortemente alimentato dalla follia dei terroristi, dalla politica amorale e parassita, dalla paura di ladri, rapinatori e stupratori, da quella parte di industria che saccheggia il pianeta e avvelena i suoi abitanti e chi più ne ha più ne metta. Sembra che il mondo sia popolato solo da schiere di pazzi che si comportano senza ritegno e come se non ci fosse un futuro. Ecco, credo sia questo il punto: dal futuro sono nutrite tutte le nostre speranze e quando lo vedi nero o non lo vedi proprio il male di vivere prende il sopravvento. I giornali ignorano questo fatto o forse pensano che due pagine di sport bastino a pareggiare il conto? E poi c’è lo stile. Anzi non c’è affatto. Un aggettivo che leggo spesso per descrivere gli incidenti stradali mortali o gravi è “spettacolare”. Se la morte di qualcuno è definita “spettacolare”, vuol dire che fa spettacolo, quindi, se fa spettacolo è uno strumento per intrattenere la gente. Ecco…non mi pare l’aggettivo più adatto, a meno che non ci sia dell’altro che mi sfugge.

Penso che siamo bombardati continuamente da notizie di morte, di terrore, di povertà, di inquinamento, di violenza. Mentre mancano totalmente notizie che nutrano la voglia di vivere, non ci sono fari che illuminano il domani, che aiutino le persone a proiettarsi nel futuro, a sognare la propria vita nel lungo periodo per vivere il presente con più leggerezza. Nelle news di tutti i giorni la gioia di vivere è la grande assente, la morte la fa da padrona… e poi si lamentano che le vendite sono in calo…

Marianna Maiorino

Immagine-2E’ notizia recente di questi giorni che una sentenza del Tribunale di Palermo abbia assolto un ex dirigente dell’Agenzia delle entrate, un simpatico sessantacinquenne che aveva l’abitudine di palpeggiare il sedere delle sue impiegate, infilare le dita tra i bottoni delle loro camicette, all’altezza del seno e di farle scivolare anche in mezzo alle cosce, nella zona vaginale. Assolto dicevamo. Assolto perché quei gesti “non procuravano appagamento sessuale” all’uomo e “perché non limitavano la libertà sessuale delle due donne”. L’uomo lo faceva in modo scherzoso, quindi per il giudice, quei gesti sono stati considerati “privi di connotati sessuali”. Già. Uno, che può mettere le mani in tanti posti, chissà perché invece sceglie proprio le tette, il culo e la vagina. Ma non si può nemmeno scherzare ora? In questo paese mi pare si stia perdendo il senso dell’umorismo! Non sono comportamenti molesti. Affatto! E’ risaputo, alle donne piace sempre da morire, quando un uomo, chiunque esso sia, come e quando vuole lui e solo lui, palpeggi e giochi con il loro corpo. Un paio di giorni fa infatti ne sono morte tre in 24 ore: dal ridere suppongo.

Sarcasmo a parte, stiamo scavando il fondo oltre ogni limite. Dall’inizio dell’anno, e siamo solo il 4 febbraio, sono già morte 10 donne. Come è possibile? Il fatto è che esistono ancora uomini che considerano la donna un oggetto, una proprietà di cui possono disporre a loro piacimento. La donna non ha, nel loro immaginario malato, il diritto di dire no. Ma come si può essere ancora a questo punto? Come è possibile che la mentalità maschilista medioevale continui a vivere in (alcuni) uomini della nostra epoca? Non è che, forse, a questi uomini vengano concesse troppo spesso, troppe scusanti e giustificazioni? Non è che forse i comportamenti di questi uomini non siano mai definiti per quello che sono e loro mai etichettati per quello che fanno. Chi palpa il culo, le tette e infila le mani tra le cosce di una che non gradisce affatto, al punto da trascinarlo in tribunale, dovrebbe essere considerato un porco. Punto e basta. Non un immaturo. Non dovrebbe avere alcuna attenuante e giustificazione. Oggi invece abbiamo addirittura un’assoluzione giudiziale. Che altro non è che un punto a favore di quegli uomini che ancora si prendono un sacco di libertà nei confronti delle donne. E alcuni, non si fermano alla toccatina libidinosa ma continuano, insistono e a volte i loro comportamenti degenerano.

Allora, signor giudice, se una donna non avesse lo stesso senso dell’humor di alcuni uomini e non volesse le dita di un uomo tra i seni, come dovrebbe fare? Se una donna non volesse le mani di un uomo sul culo, come dovrebbe fare? Se una donna non gradisse le mani di quell’uomo tra le cosce, come dovrebbe fare?

Quale messaggio pensa che arrivi grazie a questa sentenza a tutti quegli uomini che credono ancora di poter disporre a loro piacimento delle donne? Quale messaggio pensa che arrivi a quelle donne che non osano denunciare i soprusi che subiscono, per paura di non essere prese sul serio?

Possibile che la dignità delle donne, il rispetto del loro corpo e della loro persona siano così difficili da accettare e affermare?

Marianna Maiorino

Ps. Dimenticavo, una donna a Latina è stata rinviata a giudizio per maltrattamenti al marito e rischia da 2 a 6 anni di reclusione perché non lavava, non stirava né cucinava per bene al marito. Che dire, il varco spazio temporale deve essere stato scoperto: Ben tornati nel medioevo!

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Magritte, Van Gogh, Basquiat, Mondrian, Dalì, ovviamente sono tutti nomi di (alcuni) grandi pittori dell’arte moderna. Appartengono al gruppo dei migliori, i più conosciuti, i più amati, sacre divinità nell’olimpo della pittura e per questo intoccabili. Per un non addetto ai lavori cercare di comprenderne la tipicità, l’essenza della bravura è assai difficile. Nel web si girovaga da un sito all’altro alla ricerca di una chiave di lettura, un aiuto nell’interpretazione ma ci si ritrova a leggere sempre le stesse cose: sterili sequenze di parole, incapaci di trasmettere l’anima, la forza (o la debolezza) del pittore. Perché Renoir, ad esempio, è un pittore importante? Cos’hanno i suoi quadri in più? Cosa è stato capace di fare di diverso rispetto agli altri? Sono domande inutili?! Eppure Edouard Manet disse: “Renoir è un ragazzo senza talento. Ditegli, per favore di smettere di dipingere”. Questo è solo un caso, ma sicuramente ce ne sono altri anche in altri ambiti artistici. Aneddoti certo, ma che parlano di critica e opinioni diverse. Che fine fanno poi questi punti di vista personali? Perché quando un artista diventa “grande”, giudizi diversi su di lui sono una rarità? Quanti invece, sono i “grandi” artisti rimasti anonimi solo perché non incensati dalle giuste persone? O peggio ancora, morti poveri perché chi aveva il potere di farli emergere ha preferito aspettare pazientemente? La critica è strana, spesso, inutilmente feroce, specie con lo sconosciuto, ma ossequiosa e compiacente con chi è già stato piazzato sul piedistallo. Ecco perché, forse, meglio di milioni di parole sul web, di questi grandi artisti, ho imparato qualcosa in più proprio da chi di essi in fondo si è preso gioco. Mi riferisco a Philippe Wattez, in arte Lipphi, presentato nello Spazio d’Arte del vivaio Bejaflor di Portogruaro il 9 gennaio 2016. La mostra mi è piaciuta. Molto. L’artista ha avuto il coraggio di reinterpretare le opere dei grandi. Non si confronta con loro. Semplicemente li guarda con uno sguardo monello e li ridisegna con l’ironia dei bambini, con uno spirito dissacrante ma puro e di stima. «Il Modigliani» di Wattez in particolare è unico, stupendo. La donna col collo tipico della pittura di Modigliani non poteva essere più eloquente. Il collo di Lipphi non è dritto ma piegato, non troppo, il giusto per sfidare la gravità e l’anatomia sottolineando il rischio che si era preso il pittore italiano. Wattez dimostra un’ironia finissima capace di esaltare e far entrare nell’opera e nella personalità degli artisti, ma dichiarando con chiarezza e al contempo la propria personalità e il proprio carattere. Riesce ad usare la caratteristica dei grandi pittori per farla diventare anche voce, distinta, di se stesso. In questo processo artistico una stessa idea è sacra e dissacrata al contempo, e l’artista di ieri, musa ispiratrice di oggi, ne è totalmente complice.

Gli autori che hanno ispirato l’opera di Lipphi, sono: Frida Calo, Pollock, Basquiat, Mirò, Gauguin, Dalì, Modignani, Picasso, Haring, Warhol, Matisse, Mirò, Mondrian, Rothko, Bacon, Giacometti, Leger, Lichtenstein, De Chirico, Van Gogh, Magritte. Per vedere questi lavori pieni di energia c’è tempo fino a fine gennaio nello spazio arte del Vivaio Bejaflor a Portogruaro.

Marianna Maiorino

Riempiamoci gli occhi di arte, diamo nutrimento all’anima, ne gioveranno anche mente e corpo.

Per fortuna mio marito ha comprato il libro prima di ascoltare la presentazione! Il 3 giugno infatti ero andata alla presentazione del libro di Telese, “Gioventù, amore e rabbia”, ne ho scritto anche un pezzo che trovate nel blog. Ma quella sera, se avessi atteso la fine del confronto io non avrei mai comprato il libro, mio marito invece che temeva nella fila decise di sbrigare immediatamente la pratica e lo comprò così a scatola chiusa. Per fortuna!

Innanzitutto è un libro scritto bene, le frasi si susseguono rapide, il linguaggio è equilibrato e la lingua italiana è usata con eleganza e sobrietà. Il racconto è intenso, anche se più volte leggendolo mi son ritrovata a pensare ai “Ragazzi della via Pàl”, ma non vuol essere una critica. Il libro di Telese, giornalista del Fatto, commuove e fa incazzare. Se hai non più di quarant’anni con molta probabilità ti rivedi e, purtroppo, trovi in quelle storie anche la tua e ti scappa quel pensiero: “Allora è così anche per altri!”. Già “per altri” e quelle due parole per un attimo fungono da consolazione come nel detto “mal comune mezzo gaudio”. Certo esistono anche i privilegiati, quelli con un cognome che funge da passepartout e anche quelli che il mondo hanno capito subito come gira e si sono adeguati a quel meccanismo spudorato facendo buon viso a cattivo gioco. Ma, escluse le due ultime categorie molto esigue peraltro, “gli altri” son tutti nel calderone senza grandi differenze: sono i precari, i cassaintegrati o comunque gli sfruttati da qualcuno che si arroga il diritto di abusare della propria forza economica e politica.

Telese, racconta molto bene la storia di queste categorie, le sue parole suonano sentite, proprio come qualcuno che c’è passato. Racconta i suoi inizi, le sue delusioni arrivando addirittura a scrivere “ Se sono diventato giornalista io, che ho iniziato così, può davvero diventarlo chiunque”. Ma qui sospetti che, forse, nel racconto della sua storia personale manchino dei pezzi fondamentali. A parte questo, la descrizione della moltitudine è veramente ben rappresentata mentre la storia dell’autore funge solo da scenografia dove in realtà si muovono altri personaggi. Lucilla Calabria, la giornalista Maria Teresa, Ascanio Celestini, gli operai dello stabilimento di Porto Torres, Maria operaia della Fiat. Tutti vittime del famigerato sistema Italia insieme ai ragazzi dei centri sociali che “non sono partigiani come sognano, non sono eroi come pensano e non sono nemmeno demoni come li dipingono….Sono quello che bisogna capire, se si vuole impedire che l’Italia diventi un nuovo campo di battaglia”.

In conclusione è un libro che consiglio: leggetelo.